Civati: “Referendum? Occasione persa. Sel e altri hanno sbagliato”
intervista a Pippo Civati di Giacomo Russo Spena
Ultimo giorno. Sono ore concitate. Entro stasera andrebbero consegnate le 500mila firme necessarie in Cassazione per indire il voto entro il 2017. Non una in meno. Pippo Civati è indaffaratissimo. Conta e riconta.
Onorevole, allora ce l’ha fatta?
Siamo sopra le 300mila e altre devono ancora arrivare ma temo non arriveremo a 500mila. Peccato, se ci avessero creduto tutti.
Una bella sconfitta per la sua Possibile…
Assolutamente no. È stato un successo considerando che eravamo soli e oscurati dai media. Nell’ultimo weekend c’è stato un grande sforzo organizzativo e ai gazebo si respirava aria da primarie, su proposte concrete. Grillo sull’euro ha raccolto solo 200mila firme, noi – in 3 settimane, praticamente – quasi il doppio.
A vincere è ancora il premier Renzi?
Diamo tempo al tempo. Dobbiamo fissare nelle nostre menti i volti delle centinaia di migliaia di persone che sono venute a firmare. Perché le rivedremo tutte nella prossima battaglia.
Lei ha denunciato il silenzio dei media e la scarsa dedizione degli altri partiti di sinistra alla raccolta delle firme. Ha voglia di togliersi qualche sassolino dalla scarpa?
La sinistra tradizionale ha scelto di non sostenere i nostri referendum, vuol dire che in piedi ci sono percorsi diversi. I referendum erano uno strumento per costruire qualcosa a sinistra e contrastare la deriva renziana del Paese, non è stato capito. Un’occasione persa per inserire un bel granello di sabbia nei meccanismi del Palazzo e promuovere una campagna che avrebbe costretto persino Grillo a pronunciarsi pubblicamente.
Sel, Rifondazione ed Altra Europa con Tsipras l’hanno criticata per la metodologia: senza un coinvolgimento orizzontale e soprattutto senza consultare i movimenti. Non trova sia stato un errore?
Tutto falso. Hanno campato mille motivi per defilarsi. L’idea dei referendum è stata partorita a maggio ed ho coinvolto da subito più soggetti possibili. Ho mandato mail urbi et orbi spiegando le ragioni dell’urgenza: nel 2017 l’Italicum sarà già in vigore, le trivelle avranno già cominciato a scavare, i primi licenziamenti staranno già arrivando. Per questo le consultazioni andavano svolte prima. Tra l’altro abbiamo già ottenuto una parziale vittoria perché il referendum abrogativo contro le trivelle si farà: dieci Regioni hanno finora approvato in consiglio la delibera per promuovere la consultazione.
Però, effettivamente, il movimento contro la “buona scuola” ha pubblicamente attaccato la sua campagna referendaria…
Sono stato contestato da una parte del movimento legata alla Cgil. Ho risposto che potevano tralasciare quel quesito e spendersi per gli altri sette. Perché non l’hanno fatto? Il referendum era un’intuizione per iniziare una collaborazione di scopo con gli altri soggetti della sinistra. Avevo messo a disposizione la rete di Possibile. Trovo autolesionistico e inspiegabile l’astensione su questioni, vedi la legge elettorale, che riguardano vita dei movimenti e partiti politici.
Otto quesiti referendari: due sulle trivelle, due sul jobs act (demansionamenti e licenziamenti illegittimi), due sull’Italicum. Poi il potere di nomina del preside nelle scuole e l’ultimo contro lo Sblocca Italia. Referendum “politici” per attaccare le riforme del governo e costruire un’opposizione di sinistra al premier Renzi?
Lo scopo era arrestare lo scivolamento a destra del Pd, e del nostro sistema, con una maggioranza larga: dagli elettori del Pd a quelli della sinistra storica e del M5S. La gente, alle elezioni, ha votato una cosa e se n’è trovata un’altra al governo: un esecutivo che ha snaturato il Pd e ha varato leggi ben distanti dal programma originario del partito. A Renzi contesto la svolta neocentrista e il paradigma dell’uomo solo al comando, che sia un trivellatore, un preside, un premier o un segretario di partito.
L’hanno additata come rappresentante dell’Italia del NO contro il governo del cambiamento. Come replica?
Propaganda renziana. Il cambiamento non è fattore da sposare a prescindere, dipende dalla direzione assunta. Se torniamo agli anni ’50 sui diritti del lavoro è, ad esempio, un cambiamento da contrastare.
Il Labour Party ha chiuso l’era del blairismo mentre, da noi, Matteo Renzi sembra non allontanarsi da quel modello tanto che ha dichiarato: “Le politiche di Corbyn sono una ricetta per la sconfitta”. È così?
Prima si muoveva con scioltezza tra destra e sinistra, ora ha scelto il campo nel quale si sente più a suo agio: la destra. La prossima volta in Inghilterra farà campagna per i conservatori e Cameron? Tra la new entry Verdini e gli attacchi a Corbyn e Tsipras, Renzi si schiera in maniera inequivocabile sull’altro versante. Ormai, sulle pensioni, persino la Fornero è a sinistra di Renzi.
Renzi è la prosecuzione di Berlusconi?
È il risultato, non la prosecuzione. La sinistra ha avuto un lungo periodo buio, i media hanno funzionato male, nel Paese si è persa la consapevolezza di essere comunità… qui Renzi, con intelligenza politica, ha saputo destreggiarsi arrivando a Palazzo Chigi. Evitando, tra l’altro, il voto popolare.
Nichi Vendola recentemente su Repubblica ha rilasciato un’intervista sul nodo delle elezioni amministrative. Se da un lato attacca frontalmente le politiche di Renzi, dall’altro non chiude al Pd a livello locale. Possibile questa distinzione?
Bisogna decidere in che campo operare. E ci vuole coerenza. Se davvero, come dice Vendola, Renzi è il campione del neoliberismo e le sue politiche la prosecuzione di quelle berlusconiane, trovo folle allearsi col Pd tutte le volte possibili. Conosco quel partito e al suo interno ci sono ottimi amministratori e persone per bene, ma il Pd è Renzi e non sostengo quella svolta che ha ucciso il centrosinistra in Italia. In nessun modo. Ho in mente un progetto che vada nella direzione opposta.
Quindi non parteciperà a novembre alla costituente di sinistra lanciata da Sel?
Sui referendum ci siamo divisi. Sul nodo delle amministrative ci sono divergenze. Mi pare ovvio che un progetto unitario sia, ad oggi, difficile. O comunque prematuro. Proviamo a capire se alle prossime amministrative almeno in tutte le grandi città si possa costruire insieme una lista unica e autonoma dal Pd.
In passato abbiamo avuto le esperienze della Sinistra Arcobaleno, lista Ingroia, Altra Europa. Come si fa ed evitare la nascita del solito partitino del 3-4 per cento alla sinistra del Pd?
Possibile è nato come uno strumento, avevo proposto di azzerare tutto e utilizzarlo semplicemente come spazio di confronto. Un punto di domanda per un processo largo. Rispetto al passato sono cambiate le condizioni e gli scenari, anche in Europa se pensiamo a Tsipras, Corbyn o Podemos. Il Pd era il centrosinistra adesso, con Renzi, non più. E a sinistra c’è un vuoto da colmare. Ma dobbiamo evitare le sommatorie del ceto politico ed innovare pratiche e linguaggi.
È ancora possibile collaborare con il movimento di Grillo?
È possibile dialogare con gli elettori, in molti hanno anche firmato per i referendum. Con i vertici ho perso ogni speranza, è impossibile, sono autoreferenziali. Il M5S ha commesso l’errore di non sostenere nel 2013 un governo senza Berlusconi: si poteva scegliere un premier diverso da Bersani e di rinnovamento, di alto profilo. Non si sono voluti mai mettere in discussione nella loro visione binaria del “noi contro tutti”. Come se non ci fossero differenze tra i partiti.
Lo spazio politico a sinistra del Pd non è stato occupato in parte dal M5S?
Non credo. Ho un impianto repubblicano. Bisogna ripartire dalle persone che credono in democrazia, istituzioni e nel principio di uguaglianza. Diritti civili e sociali. Nuovo welfare contro precarietà. Opportunità di vita e maggiori investimenti in ricerca e scuola.
Guarda con interesse all’esperienza spagnola di Podemos? Anche il nome Possibile sembra riecheggiare la forza di Pablo Iglesias.
Di Podemos mi piace la grande capacità di ridare un significato alle parole. Dovremmo farlo anche noi. La gente in fila ai gazebo dimostra che in molti si riconoscono ancora nei valori costituzionali, nel rispetto delle persone, nello sviluppo ecosostenibile. Temi come il reddito minimo o il diritto alla casa devono essere assunti e fatti propri. Possibile ha il simbolo dell’uguale, ovvero della redistribuzione delle ricchezze nell’era della crisi. Un’alternativa di governo contro il pensiero unico o, meglio, l’interesse unico.
Insiste su formule e pratiche innovative. Ma, nell’era della crisi della rappresentanza, non crede ci vogliano nuove facce e interpreti per rilanciare la sinistra?
Esiste una necessità di cambiamento e persone che abbiano un rapporto col Paese più diretto e forte. Se le troviamo ben vengano, le metteremo avanti.
La sua sinistra è “ambiziosa e di governo”. La stuzzica l’idea di candidarsi a sindaco di Milano?
Una voce che gira da tempo. Il tema non è il nome ma la formula: guardiamo all’esempio di Barcelona en Comù e alla sindaca Ada Colau. Dobbiamo costruire una candidatura con quel profilo, aperta a movimenti e società civile e che esca dai recinti della sinistra tradizionale e lasci il Pd solo nella sua alleanza con l’ipercentro, che poi è la destra milanese.
Il 17 ottobre ci sarà la manifestazione della Coalizione sociale di Maurizio Landini. Sarà in piazza?
La Coalizione sociale è un progetto che guardo con estremo interesse per la radicalità e la capacità di relazionarsi coi movimenti. Una importante risorsa per il Paese. Il 17 non so se andrò perché Landini non gradisce i politici nei suoi eventi ed ha anche avanzato dubbi sui referendum. Spiace. Vedremo nei prossimi giorni, se decidiamo di proseguire la campagna, magari andremo coi nostri banchetti a raccogliere le firme. No?
(30 settembre 2015)
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