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di Emanuela Lava
La cucina in cui per quattro mesi abbiamo cucinato assieme mischiando culture e sapori, il tavolone sul quale ogni mattina si faceva colazione e ci si radunava per leggere le solite terribili notizie sui quotidiani, l'infermeria dove abbiamo imparato un poco di più a prenderci cura gli uni degli altri, il piazzale dove abbiamo suonato cantato manifestato abbracciandoci stretti, l'ufficio che ha ospitato workshop legali, lezioni di lingua, interminabili stesure di comunicati, l'area tende che in questi mesi ha visto liti furiose, flirt, momenti di sconforto e di euforia, gente arrivare, gente partire.
Il border su cui abbiamo battuto sassi per ore ed ore chiedendo libertà, gli scogli che urlano resistenza.
Mercoledì le ruspe hanno abbattuto tutto quello che potevano abbattere, tutto quello che abbiamo costruito in quattro mesi, tutto quello che le persone ci hanno donato, tutto quello che gli shabab ("giovani" ndr) avevano e non hanno potuto recuperare. Vedere quella che è stata la nostra casa trascinata in tanti pezzettini è una lancia dritta al cuore maabbiamo vinto comunque. Ci siamo cercati gli uni con gli altri fino alla fine e quando ci siamo trovati siamo tornati forti, fortissimi, quello che abbiamo creato per davvero in quattro mesi, nessuna ruspa potrà distruggerlo (leggi anche Abdellah ha due anni in meno di me, con le foto di Emanuela Lava ndr).
Io non sono libera se un mio fratello non è libero, quindi si ricomincia, da qui.
We are not going back!
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giovedì 1 ottobre 2015
il campo e le sue mille sfaccettature
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