lunedì 12 ottobre 2015

l'altra Napoli esiste

Nella fila "londinese" ai Girolamini l'altra Napoli possibile

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Una fila di persone desiderose di visitare un monumento, una mostra o un museo non fa di per sé notizia. Lo diventa se la fila è quella che si è vista a Napoli per la giornata nazionale delle biblioteche (la "Domenica di carta"). Si trasforma in un simbolo forte, nella città più di ogni altra bisognosa di simboli, se a disporsi in paziente attesa è un serpentone di migliaia di persone e se il luogo da visitare è la biblioteca dei Girolamini.
Quella che fino a tre anni fa vide le gesta indisturbate di un suo direttore sedicente principe di Lampedusa, millantatore di docenze universitarie e soprattutto ladro di libri. La preziosa biblioteca secentesca da cui Marino Massimo De Caro, delegato dal ministero dei Beni Culturali, ha fatto sparire un numero di libri imprecisato ma comunque di diverse centinaia, è balzata ai disonori delle peggiori cronache per il saccheggio, denunciato per primo da Tomaso Montanari, di incunaboli, cinquecentine, manoscritti, spartiti, opere musicali e molti altri testi rarissimi, tra i quali spiccano per pregio e valore assoluto due edizioni originali di un libro di Galileo Galilei.
L'affaire Girolamini diventò incandescente quando a spuntare fuori fu il nome di Marcello Dell'Utri, allora senatore di Forza Italia: risultò in possesso di quattordici testi rari sottratti alla biblioteca tra i quali c'erano una copia di "Utopia" di Thomas More del 1518, una del "De rebus gestis" di Gian Battista Vico e la "Legatura Canevari". Chi ha seguito la penosa vicenda forse ricorderà che Dell'Utri ne ha restituiti solo 5 e che è stato provato il suo legame con l'ex direttore dei Girolamini. L'ex senatore e fondatore di FI, in una telefonata agli atti del processo, il 29 marzo 2012 disse: "Massimo, fai il prezzo"; e De Caro: "Io la prossima settimana sono da solo nel convento, tutto il convento per me, se vuole dottore... da solo! Ho le chiavi perché i padri vanno via". De Caro, reo confesso, è stato infine condannato in via definitiva dalla Cassazione alla pena detentiva di sette anni e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Insomma, mentre si stava in fila veniva da immaginare i traffici notturni davanti alla biblioteca, con automobili caricate fino all'inverosimile di volumi rarissimi da trasportare in Inghilterra, Giappone e Usa. Le persone in attesa rievocavano il deposito scoperto tre anni fa in provincia di Verona, con duecentoquaranta testi rari ammucchiati per rivenderli a collezionisti disposti a sborsare somme altissime. E per contrasto con tutto ciò, la riapertura dei Girolamini sia pure solo per un giorno - e solo di due sale, essendo il resto sottoposto a vincolo giudiziario - ha assunto il valore di una specie di rinascita, di un atto di resistenza a una delle tante forme della barbarie napoletana.
Nella magnifica sala intitolata a Gian Battista Vico - "la più bella del mondo", come dice Mauro Giancaspro - venivano i brividi a guardare gli spazi vuoti lasciati negli scaffali dai libri portati via. Era un'immagine di guerra, in un luogo che pure ha sperimentato i danni dell'ultima guerra mondiale e del terremoto del 1980 ma mai era stato mortificato come con il furto da parte di sedicenti bibliofili, o di chi avrebbe dovuto custodirlo.
Ma lo spettacolo forse più importante è stato quello della fila di cittadini accorsi a visitare le due sale. Una fila dove non c'era chi spingesse o volesse fare il furbo, una piccola scena di ordinaria normale napoletanità cui i napoletani per primi forse non sono abituati. Qualche migliaio di persone composte, appena un po' stanche ma disposte ad aspettare ore per una visita di pochi minuti a un luogo che deve tornare a essere orgoglio della città e non sua vergogna.
A pochissimi passi c'è l'imbocco di Forcella, dove giganteggia un murale ritraente un San Gennaro incredibilmente somigliante a Nunzio Giuliano, esponente del clan del quartiere ucciso giusto dieci anni fa. A qualche metro c'è il complesso archeologico di vico Carminiello ai Mannesi, un'insula romana fondata nel 470 a. C. e fino agli anni Ottanta usata dai Giuliano come area per custodire i cavalli e zona di parcheggio. E mai come in quel luogo, mai come in prossimità di quest'accumulo simbolico, mentre in fila qualcuno leggeva il giornale che sparava in prima la storia di Nunziata D'Amico, la donna boss uccisa a Ponticelli, veniva da pensare.
Se solo il fascino di un luogo recuperato alla bellezza, o il fascino dell'arte che promana dal vicinissimo museo Madre, o quello misterioso delle quinte naturali composte dai vicoli intorno ai Decumani, potesse transitare dalle persone in fila e procedere verso quegli altri napoletani. Se si riuscisse a scalfire così la corazza che avvolge i ragazzi di malavita, a raggiungerli con un'idea di città e di vita diverse. Se li si raggiungesse una percezione di comunità come appartenenza e di Stato non solo presente con la divisa da poliziotto.
C'è chi sghignazza quando sente qualcuno dire che la camorra si può contrastare solo investendo sulla cultura. Invece è su questo terreno che si gioca la sfida più ardua, forse ancor più difficile di quella di dare lavoro. Purtroppo oggi il linguaggio espressivo che viene dalla miscela di segni del sottoproletariato urbano napoletano appare molto più forte e vitale della cultura ufficiale. Ma per avvicinare la "diversità" di quei settori popolari giovanili, per strappare i giovani al fascino della vita criminale, dove un ragazzo si può sentire eroe invincibile - e forse perfino "Immortale" come il protagonista di "Gomorra "- con una pistola in una tasca e un rotolo di soldi facili nell'altra, non basta certo un impiego a un migliaio scarso di euro al mese.
Ci vuole la complessa e completa visione di un'altra vita a portata di mano, la voglia di potenziare le proprie abilità sapendo di essere pubblicamente apprezzati per esse, la capacità di godere la bellezza di una Napoli restituita a una dimensione e una qualità urbane all'altezza della proprie possibilità, il senso di appartenenza a un contesto sociale con valori condivisi. E la possibilità di pensare per sé un'esistenza lunga, senza rischio di morire giovani di morte violenta.

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