Povera Rai...
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Povera Rai: domenica per seguire da vecchio ciclista il classico Giro di Lombardia ho dovuto sintonizzarmi su Eurosport di Discovery. Su Rai Sport - che ormai utilizza due canali trasmettendo gli stessi programmi, altra cosa avvilente - c'erano i campionati mondiali di pallavolo femminile dai quali l'Italia ormai è fuori. Bellissima corsa, emozionante fino all'ultimo metro. Sui canali Rai l'avrei veduta molte ore dopo, in terza serata... E pensare che il Giro d'Italia ha registrato con l'ottima équipe Rai ancora buoni ascolti.
Purtroppo in questi ultimi quindici anni è stato per la Rai come uno spogliarello di programmi sportivi popolari: niente più motociclismo nel momento in cui piloti e moto italiane andavano alla grande, un pezzo soltanto di Formula1, brandelli di calcio nazionale e internazionale, niente più campionato italiano di basket (se non una partita, mi pare), niente classiche ora come il Giro di Lombardia?
Tutto ciò non può che produrre disaffezione essendo state percepite le riprese degli sport più amati come servizio pubblico. Con una qualità di riprese, di cronache e di commenti che la Rai Sport sa assicurare nel modo migliore. Questione di risorse, di mezzi finanziari. Certo. Ma quanti milioni vengono investiti in produzioni più costose, meno apprezzate e più superflue?
Ora Matteo Renzi, oplà, prefigura una Rai col canone ridotto a soli 100 euro (fosse per lui lo abolirebbe) ma pagato da tutti coloro che hanno una bolletta della luce da pagare perché inserito in quest'ultima. Al netto delle coabitazioni si tratta di 24 milioni di famiglie,e il gettito quindi sarebbe automaticamente di 2,4 miliardi euro (una quota, come ora, rimarrebbe in partenza al Tesoro).
Mentre oggi col canone a 113,50 euro le famiglie paganti risultano16.720.087 (secondo il puntuale rapporto Rai sugli abbonamenti 2014) con una evasione che purtroppo è salita ufficialmente, per le Tv ad uso privato, al 31 per cento, rispetto all'8-10 per cento delle medie europee, di Paesi nei quali il canone sta sopra i 150-200 a volte 300 euro. Con seri dibattiti anche in quei Paesi e però con fedeltà molto più elevate. Che da noi resistono, pur con una erosione crescente anche lì, in Provincia di Ferrara dove il canone viene pagato (primato italiano) dall'85,43 per cento delle famiglie (e in certi Comuni, Copparo, Goro, Masi Torello si supera il 95 per cento).
Mentre niente si recupera nelle province e nelle regioni dei tanti abusivismi (edilizio, ambientale, previdenziale, ecc.) con la punta non a caso di evasione al canone Rai a Casal di Principe (quasi il 91 per cento non paga), a Gricignano e a San Cipriano di Aversa (idem). Secondo il Censis, il canone Rai è considerato dalla maggioranza degli italiani, dal 65 per cento, la tassa "più odiata". Un evidente non senso e però una realtà. Malgrado l'evasione,sempre più maxi, col canone si incassano circa 1,7 miliardi di euro che, con la crisi della pubblicità, costituiscono il 63 per cento circa di tutti gli introiti. Contro il 50 di quindici anni or sono.
Tuttavia, per inserire il canone radiotelevisivo nella bolletta elettrica non mancheranno problemi seri - anche se 100 euro sono una cifra modesta rispetto ai 183 di Bbc o ai 210 delle reti pubbliche tedesche (83-87 per cento degli introiti), per non parlare dei canoni scandinavi - per ragioni burocratiche e anche giuridiche. E per quell'"odio" manifesto contro l'"iniquo balzello" (una solenne scemenza provinciale). La Rai però non ha fatto nulla in questi anni per ricostruire una cultura del servizio pubblico. Ha incassato il canone (declinante) senza cercare di sottolineare con alcune misure, anche semplici, le trasmissioni sicuramente di servizio pubblico per incrementarle rendendole più godibili.
Ha lasciato moltiplicare i talk-show, più o meno tutti uguali, con personaggi a turno sempre i soliti e quindi consunti, o indulgendo nelle interviste spesso sdraiate. Del resto l'attuale premier non ama notoriamente le critiche. Men che meno le contestazioni fattuali o le proteste di folla. Difatti evita rigorosamente tutte le occasioni in cui corre il pericolo di venire fischiato o contestato. E quindi sceglie lui gli intervistatori con la certezza di venire trattato coi guanti e non coi guantoni.
Ai più anziani tocca di rimpiangere le vecchie Tribune Politiche moderate da Jader Jacobelli o da Ugo Zatterin alle quali i presidenti del Consiglio dovevano partecipare sottoponendosi ad almeno un paio di domande scomode da parte di giornalisti non allineati di giornali come l'Unità (di una volta), il Manifesto o Notizie Radicali. Quello era "servizio pubblico" assai più di quanto non lo siano le conferenze-stampa autoglorificatorie o le interviste alla Vespa sempre curialmente accomodante coi potenti del momento.
Con l'unica gigantesca News Room si avrà poi un non meno gigantesco "omogeneizzato" politico garantito da super-amministatori unici nominati direttamente da Palazzo Chigi, come è previsto, e con un presidente, pure nominato dal premier, ed un CdA che contano, specie il secondo, come il due di coppe a briscola. Questo è quello che conta, a quanto pare. Non la concorrenza sempre più forte di Sky, di Discovery e quella di Netflix, per non parlare delle radio. I tre canali di Radio Rai hanno già dal 1993 un solo Giornale Radio e non è stato un progresso.
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