giovedì 8 ottobre 2015

una diversa idea di educazione

L’educazione è un treno a vela

by JLC
pai
di Carlo Francesco Ridolfi*
E poi via
di corsa fino alla ferrovia 
dove al lume di candela passavaa un treno a vela
ringhiando sbuffando.
Bimbo non piangere più
.
Facciamo così: ve lo dico da ferroviere, quale sono e fui. Da noi funziona così. C’è un treno. Pesa molto. Deve andare ad una certa velocità, ben definita e prescritta. Può accadere, tuttavia, che una carrozza del convoglio abbia qualche guaio, che rende necessaria una riduzione di corsa. A questo punto, di solito, abbiamo due scelte: o tutto il treno si adegua alla velocità minore della carrozza guasta; oppure si scarta la carrozza.
Mi rendo conto che la metafora è forse abusata e un po’ troppo meccanicistica, ma potremmo provare ad applicarla sia alla educazione, e alla scuola in particolare, che, più in generale, alla società.
La domanda a questo punto sarebbe: se non vogliamo adeguare la nostra velocità a quella rallentata del bambino o dell’uomo che, per un qualsiasi motivo, temporaneo o permanente, non possono stare al passo con gli altri, c’è qualcuno che è disponibile ad assumersi la responsabilità dello scarto? Posta in questi termini, la domanda potrebbe sembrare retorica. In epoca di politicamente corretto ogni educatore, insegnante, genitore, politico, sacerdote, amministratore pubblico o privato si straccerebbe le vesti e risponderebbe: "Mai! non uno di meno! nessuno va scartato!".
Nella pratica, a ben vedere, le cose vanno un po’ diversamente. "C’è da andare avanti col programma!", dice la maestra. "Bisogna garantire la produzione dell’azienda!", dice l’amministratore delegato. "Va risanato il bilancio!", afferma il direttore dell’Asl.
Così ai genitori del bambino o della bambina che va più piano viene fatto capire che sarebbe meglio o dare un supporto ulteriore a quello scolastico, oppure inserirli in qualche altra scuola, magari speciale. Così si ristruttura con quel curioso metodo che per far quadrare i conti cancella le persone. Così si erodono le prestazioni sanitarie, orientando quello che una volta era il welfare a uno stato che divide per censo i suoi componenti, offrendo assistenza e previdenza solo a chi potrà permettersele.
Fonte, modeltrainforum.com
La società dello scarto è nei fatti, sotto gli occhi di tutti, a livello planetario.
C’è un problema, però. Un problema che non è, o non è solo, di natura etica. L’etica umanistica – aggiunta o meno di elementi religiosi – ci farebbe dire che lo scarto non può essere contemplato come una delle alternative possibili, almeno per due motivi. Prima di tutto perché bisognerebbe organizzare un sistema di procedure e di regole che individui i soggetti decisori dello scarto e la storia umana, anche recente, mostra con abbacinante e terribile chiarezza quali disastri si siano provocati. Poi perché la negazione dell’altro toglie nei fatti una possibilità anche a me che mi sono preso la responsabilità di scartarlo: mi toglie la possibilità di comunicare con lui, di comprenderlo e comprendere qualcosa che prima forse non avrei capito, di arricchirmi con la relazione.
Ma l’etica è un percorso e un orizzonte, non un dato acquisito dallo stato di natura. Il problema è, prima di tutto, di natura pratica. Non è vero, cioè, che lo scarto alleggerisca il carico, ci faccia andare più veloci e ci faccia risparmiare. È vero per il treno di cui sopra, ma non funziona con le persone. Se andassimo a vedere con sguardo meno obnubilato dalla razionalità economicistica (leggi anche Il tempo della tecnica), potremmo accorgerci che, ad esempio, le classi scolastiche che hanno al loro interno bambini e bambine con difficoltà di vario tipo, se fatte lavorare con azioni di cooperazione educativa, magari affiancando i più deboli a qualche compagno o compagna in migliori condizioni, danno i migliori risultati persino nelle (orrende) prove Invalsi, che tanto stanno a cuore a tanti dirigenti e a tanti genitori.
Allo stesso modo, se guardassimo il patrimonio di saperi, formali e informali, come ama dire certa letteratura organizzativa, accumulato nel mondo del lavoro anche e soprattutto da chi, per ragioni di età o di stato di salute, potrebbe in apparenza risultare meno “produttivo”, forse ci penseremmo un attimo di più prima di perderlo e trovarci nelle condizioni di dover ricominciare ogni volta da capo.
In egual misura, per restare ai nostri esempi, mantenere una situazione di garanzia sociale nella quale tendenzialmente le persone stanno bene in salute, produce nel medio e nel lungo termine molti più risparmi che non i tagli alle prestazioni.
Quindi si può fare, senza mettere in conto lo scarto?
Limitiamoci al contesto scolastico. Ci capita, a volte, quando proponiamo contenuti e pratiche della cooperazione educativa, facendo riferimento a Mario Lodi o a Gianfranco Zavalloni, di sentirci fare due tipi di obiezioni. La prima è di quelle che facevano infuriare un uomo di grande mitezza come il maestro di Piadena: Mario Lodi è stato grande, ma è inimitabileQuando vi danno dell’”inimitabile” è per rendervi inoffensivi. Lui è stato un grande, ma adesso l’abbiamo messo in una bella cornice come esempio inarrivabile e magari gli faremo anche un bel monumento. Ma sui monumenti, come diceva qualcuno, al massimo ci fanno la cacca i piccioni.
La seconda obiezione è una specie di mantra negativo: non-c’è-tempo-non-ci-sono-i-soldi. Come se il tempo fosse una variabile esterna al nostro fare. Il tempo è quello, è qui e ora. Ci vuole lo stesso medesimo identico tempo per far male scuola e per cercare di farla bene (come per far male o tentar di far bene qualsiasi altra cosa).
Per quanto riguarda i soldi, che saranno anche sempre troppo pochi, ma dipende molto da ciò che si vuole fare e da come si vuol fare, c’è una bella differenza tra lo scarto e lo spreco.
Se, per fare un piccolo esempio a me noto, su un finanziamento comunale di 50.000 euro per il Piano dell’offerta formativa di un Istituto comprensivo, se ne spendono 14.000, ciò oltre un quinto, per fotocopie, forse una riflessione sulla metodologia didattica andrebbe fatta.
Il treno dell’educazione è un treno a vela, che ha bisogno del respiro di tutti per andare. Non importa a che velocità: non è mica un talent-show, la vitaSiamo, in molti, grandi predicatori di lentezza e, spesso, razzoliamo malissimo nella ricerca affannata di sempre più impegni, attività, risorse, prodotti finiti. Forse è il caso di cominciare a considerare con più attenzione la carrozza che va più lenta, considerando che, un giorno o l’altro, di dover rallentare potrebbe capitare anche a noi.
Si salga a bordo e partiamo: insieme!
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* Babbo (di quattro bambini), giornalista pubblicista, fa parte della Rete di cooperazione educativa che il 24 e 25 ottobre promuove a Bastia Umbra il suo incontro annuale dal titolo "L'educazione prende corpo" (leggi anche Scorgere qualcosa che accadrà). "Ragazzi selvaggi. La minaccia della libertà" è il titolo del laboratorio che Carlo curerà a Bastia.
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DA LEGGERE
Come ripensare il mondo a partire della scuola? Servono pensiero critico e spazi comuni. Occorre creare quelle che Ivan Illich chiama trame dell’apprendimento, dove imparare facendo
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Smettiamola di rubare il tempo ai bambini. Abbiamo tutti bisogno di un tempo diverso: libero, creativo, lento, all’aria aperta. Durante il quale creare insieme giochi, oggetti e ricette

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