giovedì 29 gennaio 2015

Israele ovvero il peso della memoria

Umberto De Giovannangeli Headshot

Israele, il peso della memoria

Pubblicato: Aggiornato: 
Senza memoria non c'è futuro. Ma quanto la memoria può pesare, in negativo, nella ricerca della "normalità"?
C'è un posto al mondo dove questo tema interagisce come in nessun altro luogo, con il vissuto quotidiano, con la psicologia di una Nazione. Questo luogo è Israele. La memoria è quella della Shoah, la tragedia più immane che la storia dell'umanità abbia conosciuto. La nascita dello Stato d'Israele, focolaio nazionale ebraico, ha tanto, se non tutto, ha che fare con la "soluzione finale" tentata dai nazisti.
Un tema sentitissimo in Israele che incrocia, soprattutto in certi momenti, la più stretta attualità politica, finendo così di essere coscienza condivisa per divenire materia di scontro. Soprattutto quando a "cavalcare" quella Tragedia sono i partiti ultranazionalisti che - è l'accusa di intellettuali legati al sionismo delle origini - si fanno scudo della Shoah per giustificare l'uso della forza e l'oppressione esercitata contro il popolo palestinese. Emblematiche, in tal senso, sono le considerazioni diAmira Hass, firma di punta del quotidiano Haaretz, in una sua recente rubrica su "Internazionale". "Da decenni - scrive Hass- le autorità israeliane sfruttano i vantaggi diplomatici del nostro museo dell'Olocausto Yad Vashem, tappa obbligata per i politici stranieri in visita in Israele e strumento per raffreddare le critiche nei confronti dello stato ebraico. Ora le stesse autorità stanno cercando di usare il giorno della memoria come scudo contro le critiche sempre più pesanti alla politica israeliana. Per fortuna, grazie a Facebook e a Twitter ho scoperto che molte persone hanno sottolineato adeguatamente la volgarità dell'evento. Se un non-ebreo avesse scritto questi commenti sarebbe stato accusato di essere antisemita. Quindi, per evitare ogni malinteso, chiarisco subito che le frasi seguenti sono state scritte da ebrei. Il blogger di Haaretz Uri Misgav ha scritto che il "ridicolo viaggio dei politici ha svilito la memoria dell'Olocausto". Il linguista Idan Landau si è dato alla satira componendo alcuni sms immaginari inviati dai membri della delegazione. Eccone uno: "I parlamentari arabi e di sinistra sono rimasti in Israele. Ancora una volta, come nella Shoah, gli ebrei sono segregati ad Auschwitz". Ma come spesso accade, la realtà supera la fantasia. Ecco il testo di un sms realmente inviato dagli organizzatori della visita ai politici israeliani: "Siete pregati di raggiungere il forno crematorio vicino al parcheggio".
"Come alfieri dell'antinazismo - ebbe a rimarcare Avraham Yehoshua, uno dei più affermati scrittori israeliani viventi - dobbiamo acuire la nostra sensibilità, perché dobbiamo ricordarci che il fatto di essere stati vittime non è sufficiente per conferirci uno status morale. La vittima non diventa morale in quanto vittima. L'Olocausto, al di là delle azioni turpi nei nostri confronti, non ci ha dato un diploma di eterna rettitudine. Ha reso immorali gli assassini, ma non ha reso morali le vittime. Per essere morale bisogna compiere atti morali. E per questo affrontiamo gli esami quotidiani".
Ricordare, certo, senza farsi ingabbiare. "Mi ricordo che quando mi sposai, la zia di mio padre - sopravvissuta ad Auschwitz - si presentò al matrimonio con il numero tatuato sull'avambraccio coperto con una benda. Io sapevo che l'aveva fatto per non stendere un velo di tristezza sulla nostra festa. Eppure questo è proprio il ricordo più nitido che ho a tutt'oggi della cerimonia del mio matrimonio. Lo sforzo terribile di non infettarci con la sua tristezza, con la sua tragedia. Ebbi l'impressione che sotto quel sottile strato di garza ci fosse un abisso infinito che minacciava di risucchiare tutto: la festa, la felicità, la musica, la nostra stessa vita...". E' un passaggio dello struggente libro-intervista "La memoria della Shoah" di David Grossman a cura di Matteo Bellinelli. Imbarazzo, dolore, orgoglio. C'è tutto questo nel racconto di Grossman. E c'è molto di polemico in queste altre, durissime, affermazioni: "A me non piace giocare di fronte a un pubblico la carta dell'Olocausto. Ma adesso mi sento obbligato a farlo. Il mio defunto padre è stato prigioniero ad Auschwitz. La mia defunta madre stette nel campo di concentramento di Majdanek. Ogni singolo membro della mia famiglia, dalla parte di mio padre e di mia madre, è stato sterminato. Entrambi i miei genitori presero parte alla rivolta del ghetto di Varsavia. Ed è esattamente e precisamente per la lezione che i miei genitori hanno insegnato a me e ai miei due fratelli che io non rimarrò in silenzio mentre Israele commette i suoi crimini contro i palestinesi. E non considero niente di più spregevole dell'usare la loro sofferenza e il loro martirio per tentare di giustificare la tortura, la brutalità e la demolizione delle case che ogni giorno Israele commette contro i palestinesi. Pertanto, io rifiuto di farmi ancora intimidire o soggiogare dalle lacrime. Se voi aveste un cuore lo usareste per piangere i palestinesi»..
A sostenerlo, in una conferenza tenuta nel 2010 sulla questione israelo-palestinese all'Università di Waterloo (Canada), è Norman Finkelstein, storico e politologo di origine ebraica. Le sue posizioni sull'"industria dell'Olocausto" hanno scatenato polemiche infuocate, dentro e fuori Israele, dando conto di una ferita ancora aperta. Su cui riflette, con la consueta passione civile e coraggio intellettuale, Moni Ovadia: "L'ossessione della nuova Shoah - rimarca l'artista e scrittore di origine ebraica - dietro alla porta, scatena processi di permanente vittimizzazione che si sinergizzano con i complessi di colpa occidentali, legittimando un' "industria dell'Olocausto" che fa un uso strumentale e ricattatorio della memoria dell'immane catastrofe per fini di propaganda, come bene spiega un saggio fondamentale di Norman Finkielstein, uno scrittore ebreo statunitense. Questa, a mio parere, è una delle derive più allarmanti e ciniche della memoria stessa a cui si prestano non pochi politici europei reazionari o ex-post fascisti, magari facendosi intervistare all'uscita da una visita al memoriale di un lager nazista per dichiarare: "Mi sento israeliano!". Questo è un modo per trarre "profitto" dall'orrore a vantaggio degli eredi delle classi politiche europee che non si opposero allora al nazismo e all'antisemitismo e oggi lasciano sguazzare indisturbati, nell'Europa comunitaria, neonazisti di ogni risma".
"L'Olocausto è il crimine più odioso contro l'umanità che sia stato commesso in epoca moderna». Così si era espresso il presidente dell'Autorità nazionale palestinese,Mahmoud Abbas (Abu Mazen), in un incontro con il rabbino americano Schneier,capo di un'organizzazione che promuove l'avvicinamento tra ebrei e musulmani. Era il giorno della Memoria di un anno fa, e quella di Abu Mazen rappresentò una dichiarazione senza precedenti sullo sterminio degli ebrei, in cui riconobbe l'unicità dell'Olocausto e della sofferenza ebraica. In quell'occasione, il leader palestinese espresse la sua vicinanza alle famiglie delle vittime dell'Olocausto e il cordoglio "per i tanti innocenti sterminati dai nazisti». L'Olocausto -- disse ancora -- è espressione del razzismo "che noi rigettiamo e combattiamo" e deve essere un'occasione per riflettere «sul razzismo e sul concetto di discriminazione etnica". "Il mondo deve fare il possibile per combattere razzismo e ingiustizia e il popolo palestinese, che soffre di ingiustizie, oppressione, ed è privo di pace e di libertà, è in prima linea per chiedere la fine dell'ingiustizia e della discriminazione, indipendentemente da chi ne siano le vittime".
La risposta del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, non si fece attendere: "Hamas nega la Shoah mentre d'altra parte tenta di farne una nuova mediante la distruzione di Israele. Abu Mazen ha stretto un patto con Hamas. Noi speriamo che lo abbandoni e che ritorni sulla strada della pace". Non si tratta di parteggiare per l'uno o per l'altro, ciò fa parte di una "militarizzazione" dell'informazione che va rigettata con forza. Il negazionismo va combattuto sotto ogni forma si mascheri, senza se e senza ma. Il che, però, non significa dover chiudere gli occhi di fronte a chi usa strumentalmente quella tragedia per fini di potere. Anche questo vuol dire profanare la memoria delle milioni di vittime dell'Olocausto.
"A partire dagli anni '70, quando Menachem Begin descrisse Yasser Arafat come 'secondo Hitler,' abbiamo visto come la destra ha usato la Shoah e la sua memoria per giustificare posizioni sempre più radicali. 
Questo ha costretto la sinistra a ritrarsi perfino dal solo citare l'Olocausto.
Personalmente, mi ha causato un dilemma quando ho visto come il tema al quale ho dedicato la vita è stato usato per solleticare gli atteggiamenti politici più repellenti". A sostenerlo, in una intervista ad "Haaretz", è Saul Friedlander Il più grande storico israeliano dell'Olocausto, vincitore (nel 1983) l'Israel Prize, oltre che di un Pulitzer per il suo resoconto imponente The Years of Extermination. I genitori di Friedlander furono catturati dalla polizia francese e inviati ad Auschwitz, dove furono assassinati. Lui si salvò perché fu nascosto in un collegio cattolico e pianificava, nel 1946, un futuro come prete, quando scoprì il destino dei suoi genitori, abbracciò l'ebraismo e divenne un giovane sionista. E a Netanyahu che è uso citare spesso l'Olocausto, il professor Friedlander offre un consiglio: "Uno storico sa che un leader deve osare e prendere decisioni anche molto impopolari. Non so se Netanyahu si rende conto che questo è quello che deve fare ed è semplicemente troppo debole o se è effettivamente una persona condizionata dall'ideologia. Talleyrand una volta ha detto che un ordine dettato da Napoleone era "peggio di un crimine; era un errore" e anche un bambino può constatare lo stupido errore che il governo sta facendo continuando a opporsi alla divisione della terra in due Stati".

Nessun commento:

Posta un commento