venerdì 30 gennaio 2015

scegliere il Presidente della Repubblica ripartendo da Rodotà

ripartire da rodotà

giovanni vetritto
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Tra pochi giorni si riapriranno i giochi dell’elezione presidenziale, in un clima solo apparentemente più disteso rispetto a due anni fa.
Allora, evidentemente, l’esito di elezioni politiche senza vincitori rendeva la scelta sul nuovo inquilino del Colle inestricabilmente intrecciata con la scelta di una soluzione politica che consentisse di superare l’empasse. Prodi, e in un senso tutto diverso, auspicato su queste colonne (vedi http://www.criticaliberale.it/news/104411), Rodotà, avrebbero significato la difesa della pur imperfetta democrazia dell’alternanza costruita alla meno peggio dopo la sconfessione, con i Referendum Segni dei primi anni ’90, del proporzionalismo repubblicano originario. Marini, e poi Napolitano, avrebbero evidentemente segnato la perpetuazione (e, per così dire, la stabilizzazione) delle “larghe intese” inaugurate dalla deliberata strategia di Napolitano a sostegno del Governo eccezionale presieduto da Mario Monti. Una strategia che aveva ben altre alternative, dato il diffuso sostegno popolare, in quella fase, ad una ipotesi di “Governo dei cittadini” affidato allo stesso Monti, magari un po’ populista ma ipoteticamente orientato a troncare con una classe dirigente ormai del tutto delegittimata; e che invece il Presidente volle in continuità con una cultura da “solidarietà nazionale” che è tipica dell’esperienza politica dei partiti eredi del compromesso storico (e della sua personale in misura somma).
Oggi il quadro pare a prima vista diverso: il presunto trionfo elettorale di Renzi alle ultime elezioni europee (un clamoroso 40% dei voti espressi, che però, occorre sempre ricordarlo, diventa poco più di un misero 20% degli aventi diritto), dà l’idea superficiale di un sistema politico ormai stabilizzato, nel quadro del quale la scelta sul prossimo inquilino del Colle più alto possa rivelarsi meno critica.
Nulla di più falso.
La situazione politica è estremamente preoccupante. Ormai meno della metà degli elettori trova uno straccio di offerta elettorale nella quale riconoscersi, magari a malincuore, e quindi la netta maggioranza di loro diserta le urne. Con buona pace dell’idea dei fogli excel richiesti al predecessore Letta, Renzi col suo governo alterna soltanto rinvii, provvedimenti stantii di protezione degli interessi consolidati (dai concessionari autostradali ai cementificatori del territorio, dai padroni delle ferriere agli appropriatori del demanio balneare), e gaffe monumentali, lasciando la gran parte degli italiani privi di soluzioni politiche mentre i problemi si fanno di giorno in giorno più grandi e il Paese si impoverisce. Il “cambio di verso” è un espediente labiale che nasconde la più assoluta continuità con i disastri degli ultimi decenni. Tutto ciò non per caso, ma come conseguenza diretta e inevitabile delle larghe intese, della loro logica di blindatura di classi dirigenti estrattive prive ormai di una legittimazione maggioritaria, della loro consequenziale inevitabile funzione di paralisi a qualsiasi rinnovamento democratico, del quale il Paese avrebbe invece estremo bisogno.
Il tutto, non dimentichiamolo, sullo sfondo di un mondo impazzito, nel quale il “mercato di 500 milioni di europei” diventa una dittatura di élite bancarie e interessi nazionali, le religioni tornano a mostrare la loro più autentica feroce faccia di intolleranza e aggressività, gli esclusi si rifugiano in una exit dal sistema che assumerà sempre più caratteri violenti e antidemocratici, il laissez faire assurto a idolo intoccabile acuisce i conflitti tra realtà statuali anche europee, con il rischio del risorgere di nazionalismi anche bellicisti (ricordiamo a noi stessi fino alla noia che ciascuna delle fasi storiche di deregulation senza limiti e di apertura dei mercati a spese di minimi requisiti di eguaglianza sostanziale si è conclusa con un sanguinosa guerra, anche mondiale).
Ecco perché la scelta del prossimo Presidente diventa di importanza cruciale, perché rappresenta la riproposizione del dilemma tra una blindatura, chissà per quanti anni, dell’attuale sistema consociativo (con le sue conseguenze politiche appena descritte), in chiave centrista e conservatrice, e la riapertura di una vera dialettica democratica ma soprattutto liberale, che renda nuovamente contendibile il potere, doverosamente limitato e instabile il suo esercizio (a tutela delle nostre libertà, da quella sessuale a quella di vivere o morire, da quella fiscale ed economica a quella di scelta politica consapevole), finalmente controllabili e licenziabili democraticamente le sue oligarchie.
Se questo è il quadro, è evidente che il nome che verrà proposto e votato ci dirà da subito in che direzione ci muoviamo. Un Veltroni, un Fassino, un Bassanini, un Marini, un Mattarella, un Amato avrebbero riconoscibili da subito le stimmate del consociativismo di nuovo conio, e verranno respinti rumorosamente (come si deve in democrazia) dai 4 gatti liberali che animano queste colonne. Perfino un Prodi di compromesso votato anche da Berlusconi lascerebbe ben poco tranquilli nella prospettiva descritta. Un uomo dei “poteri ombra” come Sabino Cassese, evidentemente autocandidato nelle ultime settimane, avrebbe un senso diverso e potrebbe almeno schiudere qualche maggiore speranza di prospettiva, ma riaprirebbe ben poco, nell’immediato, i giochi democratici nella pesante crisi di sistema che viviamo.
Per questo Critica rilancia sempre e solo un nome, lo stesso già fatto due anni fa: Stefano Rodotà, uomo libero, lontano dai compromessi e dai debiti di appartenenza all’establishment in decomposizione; difensore della separazione dei poteri di ascendenza liberale più ancora che della centralità del parlamento iscritta nella Costituzione del 1948 (fino a prova contraria da rispettare almeno finché non verrà cambiata, a dispetto di certe macchiettistiche strumentalizzazione della ben diversa teoria della “costituzione materiale” di Mortati). Uomo infine, giova sottolinearlo, aperto al futuro, all’innovazione, ai nuovi attori sociali, al rinnovamento delle élite, alla contendibilità del potere.
Uomo sconfitto due anni fa a dispetto di un evidente diffuso gradimento popolare, tuttora alto nei sondaggi, con le conseguenze che anche un cieco può giudicare.
Quest’ultimo punto appare dirimente. Se si vuole tentare di ricondurre faticosamente il Paese sul sentiero di una democrazia liberale non plebiscitaria e non compromissoria occorre riannodare le fila laddove sono state insensatamente troncate dalla sciagurata strategia politica degli ex pci e dei loro nuovi sodali neocon.
Prima che lo sfascio della nuova legislazione elettorale e del nuovo autoritarismo costituzionale ossifichi la crisi attuale per decenni, occorre ripensare la scelta di quella notte sciagurata. Con Rodotà Presidente.
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