giovedì 8 ottobre 2015

Marino bye,bye

Dimissioni Ignazio Marino. Isolato e isolazionista tenta la resistenza, ma i numeri lo tradiscono (VIDEO)

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Alla fine il bunker è stato espugnato. Ignazio Marino, isolato più che mai, decide di non essere l’ultimo giapponese e lascia il Campidoglio. “Ho compiuto la mia scelta: presento le mie dimissioni”, ha scritto in un comunicato sofferto e carico di rabbia e di accuse, diffuso alle 19.30 in punto, dopo una giornata trascorsa asserragliato nel Palazzo.
Intorno al sindaco è crollato tutto e lui, che era l’epicentro del tracollo, ha provato a resistere fino all’ultimo. Ma invano. Alla fine non ce l’ha fatta. E nel momento esatto in cui ha preso atto che, prima gli assessori e poi i consiglieri comunali (leggasi il Pd di Matteo Renzi), lo avevano abbandonato, pronti a presentare una mozione di sfiducia nei suoi confronti e a votarla in Aula, Marino non ha più voluto subire quella che lui continua a definire “la peggiore umiliazione della mia vita”. E così, furioso come non mai, “l’uomo solo” ha abbandonato il Palazzo e si è dimesso. A dimostrazione del fatto che Marino non è stato solo isolato ma si è anche isolato facendo terra bruciata attorno a sé. Tanto da non avere neanche più i consiglieri dalla sua parte, coloro che fino a qualche mese lo incoraggiavano dicendogli di proseguire. I suoi collaboratori più stretti, gli unici di cui si fida e che hanno trascorso con lui le ultime ore del suo mandato, quelle più difficili, lo descrivono provato, arrabbiato, deluso.
“Se preferite la Roma mafiosa a me, io lascio. Il Pd mi ha attaccato dal primo giorno perché sono una persona scomoda”. E’ questo il concetto che Marino ha ripetuto, come un’ultima supplica, ai consiglieri e agli assessori che ha incontrato in mattinata. Una specie di appello estremo che è andato avanti per tutto il giorno. Ma ormai, prendendo in prestito un concetto della medicina, come spesso il sindaco usa fare, ciò che restava da capire era se si sarebbe trattato di morte naturale o di eutanasia. “Ignazio, lascia! Ormai il partito non è più con te. Sei solo ed è anche colpa tua”, gli hanno detto in faccia, una volta per tutte, gli assessori renziani Causi, Esposito, Rossi Doria e Di Liegro, che di lì a poco gli avrebbero rivolto il loro addio. Ma lui nulla. Andava piuttosto al contrattacco, come dimostra il messaggio inviato ai cittadini per annunciare le dimissioni. “Tutto il mio impegno ha suscitato una furiosa reazione. Sin dall'inizio c'è stato un lavorio rumoroso nel tentativo di sovvertire il voto democratico dei romani. Questo ha avuto spettatori poco attenti anche tra chi questa esperienza avrebbe dovuto sostenerla. Oggi quest'aggressione arriva al suo culmine”.
Il culmine di cui parla Marino è rappresentato anche dai numeri. A metà pomeriggio, mentre gli assessori e i consiglieri sono andati a parlare con il commissario dem di Roma, Matteo Orfini, il sindaco prende carta e penna, e inizia a contare i voti dei consiglieri capitolini, uno dopo l’altro. “Ignazio, se in Aula arriverà una mozione di sfiducia sarà votata anche da Sel. E se dovessero mancare i voti del Pd, ci sarebbero le opposizioni”, gli dice, rammaricato, uno dei suoi consiglieri. Così il sindaco abbandona l’ormai inutile pallottoliere e si convince che è impossibile andare avanti.
Come se non bastasse, a rendere il clima ancora più pesante, dalla sua stanza Marino ascolta le urla che arrivavano dalla piazza, che nel frattempo si è trasformata in uno stadio. E’ come se ci fossero due curve. Su una scalinata ci sono i pro-sindaco. “Marino resisti”, si legge nei cartelli disseminati. E di fronte le bandiere di Forza Italia, del Movimento guidato da Alfio Marchini, di Casa Pound, della Lega Nord e dei 5Stelle. In mezzo la polizia per evitare che le due fazioni arrivino allo scontro fisico. E’ un botta e risposta, gli uni contro gli altri. “Marino pagace er vino”, “Restituito al mittente”, recitano alcuni manifesti che fanno riferimento agli scontrini a carico delle casse comunali. E poi un altro: “Vattene a casa”. Arrivano i turisti, stranieri e non. Sono quasi sbalorditi mentre le guide si affannano a spiegare loro che qui, in questi minuti e davanti ai loro occhi, sta cambiando tutto.
Marino osserva dalla finestra e, guardando chi gli urla contro, esclama: “Ecco la grande coalizione che vuole venire a guidare il Campidoglio. Daranno Roma alla mafia”. E inizia a scrivere il comunicato con queste parole: “Ho impostato cambiamenti epocali, ho cambiato un sistema di governo basato sull'acquiescenza alle lobbies, ai poteri anche criminali. Ho il serio timore che, dopo di me, immediatamente tornino a governare le logiche del passato, quelle della speculazione, degli illeciti interessi privati, del consociativismo e del meccanismo corruttivo-mafioso che purtroppo ha toccato anche parti del Pd e che senza di me avrebbe travolto non solo l'intero Partito democratico ma tutto il Campidoglio”.
Infine, tra le righe, si legge un qualcosa che suona come un estremo disperato tentativo di restare in sella. “Le dimissioni possono per legge essere ritirate entro venti giorni. Non è un'astuzia la mia: è la ricerca di una verifica seria, se è ancora possibile ricostruire le condizioni politiche”. Ma sembra che nessuno abbia preso in considerazione questo appello.

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