martedì 13 ottobre 2015

Roma,imprese ed albero della vita

A Roma le imprese battano un colpo: contro il declino adottino l'Albero della vita

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L'Expo non è solo un successo. È un fenomeno di massa, uno di quegli eventi che sfuggono alle pigre categorie di coloro che vogliono il mondo a propria immagine e somiglianza. Capita a molti "salotti buoni" e a parte dell'informazione. E non è solo questione di numeri - oltre 16 milioni e mezzo di visitatori - ma di cogliere atteggiamenti e sensibilità diffusi che si formano spontaneamente, disarticolano schemi e corrono di bocca in bocca senza bisogno di uffici stampa.
Perché l'Expo bisogna conquistarselo. Le code sono interminabili. Per visitare l'affascinante "palazzo Italia", serve la pazienza di Giobbe, con tre o quattro ore di coda. Ma cosa fa stare in fila indiana, senza un lamento e una protesta, milioni di persone che ininterrottamente dalla mattina a notte fonda pagano il biglietto, premono ai cancelli e poi si riversano in un'area in compagnia di almeno duecentomila persone? Trattandosi, appunto, di un fenomeno di massa gli umori sono tanti e fra i più diversi. Ma negli interminabili serpentoni è facile ritrovare curiosità e voglia di futuro.
Si va all'Expo perché siamo parte del "villaggio globale", perché se conosciamo gli altri avremo la possibilità di competere, di mostrare che non siamo a meno di loro, perché le dinamiche del mondo moderno sono inarrestabili e fa piacere mangiare come si mangia in Cina, in Libano oppure conoscere i metodi di coltivazione del caffè e del riso e sapere dove ci porterà domani la tecnologia. Il fenomeno non consente schematiche risposte, ma di certo c'è anche molto orgoglio italiano in quelle code formate da famiglie, amici, fidanzati, suore. Gente italiana che continua ad arrivare da cento città spinta dalla voglia di dire "io c'ero", scoprire cose nuove, ammirare architetture, godere delle differenze, stabilire distanze, sognare frontiere e posti lontani, mangiare strano...
Sotto l'Albero della vita, lo stupore dei giochi serali è capace di ammutolire in un colpo un fiume di persone, tutte in piedi, stipate spalla a spalla, col naso rivolto all'insù. Colpisce l'ordine, il silenzio, la sensazione di vivere in complicità. L'Albero della vita è la nostra Tour Eiffel. Al ferro si contrappone la tecnologia. È una macchina che oltre ai giochi può contenere altri contenuti, sviluppare nuove performance. Anche all'epoca di Eiffel c'erano salotti in cui si storceva il naso considerando quella torre inutile, oggetto buono per i luna park.
È ciò che capita anche adesso nei circuiti in cui si coltiva spirito minoritario. Cosa farne ora di quest'opera costruita dagli imprenditori bresciani e ammirata da milioni di persone, simbolo di questo evento che ha messo in moto energie e passioni? Perderlo, non tramandarlo, smontarlo, sarebbe un affronto. È costato 3 milioni di euro, ne vale almeno cinque volte tanto. Per tenerlo acceso costa 6mila euro al giorno, dalla mattina alla sera. La stella che campeggia in alto riprende la stella disegnata da Michelangelo nel piazzale del Campidoglio. È il simbolo di una Capitale che sta vivendo una opaca stagione di declino, ma senza la quale il paese non potrà pensare al futuro.
Con un Comune che non c'è, perché imprese e associazioni romane non fanno quello che hanno fatto i bresciani? Quel monumento sarebbe in grado di riqualificare una grande area della città, fare da sfondo a grandi eventi, costituire il logo di un paese che vuole battere la strada della terza industrializzazione. E mettere in chiaro che anche nella Capitale, nonostante tutto, vi sono energie che non vogliono mollare e sono capaci di invertire la rotta. Sarebbe un bel segnale anche per la politica locale, inchiodata a dinamiche asfittiche, autoreferenziali, sempre in ricorsa e molto spesso priva di idee. L'Albero della vita a Roma sarebbe il segno che una stagione nuova è possibile.

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