martedì 24 febbraio 2015

cultura:stare con Bray?

Da hashtag ad associazione. Massimo Bray lancia #laculturachevince, nuova creatura democratica per una battaglia culturale. L’ex Ministro di nuovo in azione


Massimo Bray
Massimo Bray
Se c’è un Ministro dei Beni Culturali, che, negli anni bui dell’antipolitica, ha portato a casa un consenso popolare insolitamente ampio e trasversale, quello è Massimo Bray. Nominato da Enrico Letta, noto più per il ruolo di direttore della Treccani che non per la carriera politica tra le fila del Pd, Bray ha avuto poco tempo per attuare i suoi programmi di riforma – non rivoluzionari, ma con delle buone intuizioni – ma anche per svilupparli, definirli, integrarli.
All’ombra di quel celeberrimo “stai sereno”, ironico e iconico brand della real politik renziana, il governo Letta levò le tende e anche il percorso avviato da Bray si interruppe, dopo dieci mesi appena. Nacquero persino dei gruppi spontanei, di gente che avrebbe voluto per lui una riconferma: con il geniale claim “toglietemi tutto, ma non il mio Bray”, su Facebook e Twitter si scatenò un discreto  movimento in difesa di questo garbato, affabile e appassionato signore, sufficientemente lontano dalle pastoie e le controversie di palazzo o di partito. Uno perbene, uno che ci crede, uno che sulla difesa del patrimonio, la diffusione della conoscenza e la valorizzazione della bellezza ci scommette davvero.
E allora non è certo la fine di un’esperienza di governo a fermare un tipo così. Il potere aiuta, ma non è la sola maniera. Anzi. È tutt’intorno al potere che si articola, a suo stesso beneficio e supporto, un paesaggio di attivismi, di iniziative popolari, di percorsi professionali, attraverso cui l’architettura del Paese si modifica e si costruisce. E questo, Massimo Bray, lo sa. Non stupisce dunque vederlo oggi in azione con un progetto nuovo, tutto suo. Di cui lui stesso ha spiegato la natura dalle colonne dell’Huffington Post.
Massimo Bray - #laculturachevince
Massimo Bray – #laculturachevince
La sua neonata associazione si chiama #laculturachevince, voluta per “aggregare tutti coloro che credono nella cultura, che inventano e innovano, per tentare di dare loro una rappresentanza e dimostrazione di esistenza, nonostante il degrado e le ferite laceranti presenti nel nostro paese”. Hai detto niente. Partecipazione, condivisione, rete, opponendo resistenza all’indifferenza generale.
Ma in sostanza? “Un modello wiki”, spiega lui, “incrementato da tutti coloro che partecipano al progetto e da un team “redazionale” capace di coordinare i materiali, che arricchiranno il database: un luogo virtuale, ma fortemente legato alla realtà attuale, di chi vuole far conoscere le buone pratiche verso la cultura e i beni comuni presenti in ogni territorio italiano e condotte da enti locali, associazioni, cittadini”. Sorta di think tank esteso, in cui mettere in coltura idee ed ideali, orientato a una visione illuminata, umanistica e innovatrice della società.
Ma quanto c’entra la politica? C’entra, chiarisce lui. In senso etimologico, quantomeno. Perché #laculturachevince è “un progetto politico riformista, fatto di valori, di aspettative di una comunità”, che punta alla formazione delle coscienze e alla “ricostruzione del tessuto umano e sociale del Paese”. Se tutto questo si tradurrà, alla fine, in una proposta politica tout court è presto per dirlo. Ad oggi, Massimo Bray, uomo del Pd, ma soprattutto uomo di cultura, pensa ad aggregare persone intorno ad un progetto dal basso, costruito sulla base dell’inusitato binomio: cultura e politica. Con quella congiunzione che diventa, a piacimento, voce del verbo essere. E da qui si riparte.
- Helga Marsala

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