giovedì 26 febbraio 2015

podemos in Liguria'

Il “Podemos” ligure che sarebbe possibile (e sta per essere sprecato)

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di Paolo Flores d'Arcais

Genova, una vita fa, fu laboratorio di una svolta nazionale: il tentativo di apertura del governo ai fascisti, respinto da un’ondata di indignazione e lotta che ripropose e riaffermò la Resistenza come irrinunciabile identità della Repubblica, incubò il ’68, ottenne come onda lunga l’opposto di quanto auspicato (l’apertura ai fascisti sarebbe avvenuta con Berlusconi, oltre trent’anni dopo, è il suo lascito più importante e più nefando) cioè la fine della conventio ad excludendum rispetto al Pci.

Oggi Genova e l’intera Liguria hanno un’occasione analoga: porre fine al ventennio che non passa, alla continuità Craxi-Berlusconi-Renzi che nella Regione ha trovato la sua incarnazione antesignana in Burlando e nel suo Pci e successive metamorfosi e mutazioni genetiche. La Liguria può riuscirvi, nell’unico modo in cui a un regime si riesce a porre fine, rovesciandolo, cioè sostituendolo con una diversa coalizione vincente. Il che oggi non è fantascientifico, benché sia ovviamente arduo (se si provasse a vincere solo quando c’è la certezza non si parteciperebbe mai), data la mediocrità abissale e l’impresentabilità, presso l’elettorato di sinistra e in generale civile, della candidata burlandiana (appoggiata ormai da pezzi da novanta del berlusconismo ligure).

Si dirà: ma manca il candidato alternativo! Davvero “Podemos” non ha insegnato nulla? C’è l’enorme scontento dei cittadini, la rabbia, l’indignazione, lo schifo, la volontà di un nuovo inizio. Elementi oggettivi più che sufficienti. Dunque, ci vuole il catalizzatore, senza cui questo potenziale effettivamente esistente resterà latente e si disperderà. In Spagna sono stati alcuni intellettuali trentenni, il cui numero si conta sulle dita delle mani, e su cui nessuno avrebbe scommesso un bel niente, tanto più che si sono organizzati a prescindere da e in rigorosa estraneità con le formazioni della “sinistra radicale” già esistenti.

In Liguria basterebbe che alcune personalità della società civile, spesso di antico ma sempre adamantino impegno, anziché limitarsi a nobili ammonimenti, si facessero catalizzatori/promotori di una lista del genere, con un candidato governatore di nuova generazione e noto per le lotte contro il burlandismo (che nella cementificazione ha il suo marchio doc), alla testa di energie altrettanto radicalmente nuove, totalmente estranee alle vicende di apparati e mini apparati, in modo da evitare ogni contaminazione con quella “macina al collo” che sono le sigle tipo Sel, Rifondazione, ecc. e relativi miniapparati anche locali (chi ragiona ancora in termini di “unità” con queste sigle, come se costituissero un potenziale “valore aggiunto”, vive su Marte).

Perché non lo si fa? Qualcuno ancora si illude che si vinca con gli appelli alla “unità”? Questa “unità” di sigle significa solo divisione dagli elettori, talmente alla ricerca di qualcosa di inedito che in parte sembrano addirittura disposti a farsi sedurre da un candidato leghista!

Una lista di energie radicalmente nuove è un azzardo? Ovviamente è un rischio, ma chi pensa di vincere solo quando la strada è liscia e il viaggio è in carrozza non contribuirà mai alla rinascita di un a sinistra vincente. Oggi in Liguria le condizioni per tentare questo “azzardo” sono promettenti: l’ottimismo della volontà avrebbe dalla sua anche la valutazione della ragione.

(24 febbraio 2015)

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