giovedì 26 febbraio 2015

sabotare la TAV?

La Tav va sabotata

by Citta invisibile
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Le donne No Tav (foto tratta da notav.info)
di Alessandro Pertosa*
Lo dico senza mezzi termini e sin dall’inizio. Così, proprio per essere chiari e togliere ogni dubbio. Io sto con Erri De Luca (#IoStoConErri). Sto con tutti coloro che affermano, scrivono e gridano al cielo che la Tav va sabotata. Sto con tutti coloro che ritengono illegittimo giudicare un’idea, un’opinione, uno scritto. In un paese normale – ma il nostro non è mai stato un paese normale – frotte di intellettuali si sarebbero autodenunciati quali sostenitori del sabotaggio alla Tav. Persino chi è a favore della Torino-Lione avrebbe dovuto farlo per una questione di principio. Perché è indegno di un paese civile pensare di poter scaraventare sul banco degli imputati uno scrittore, con l’accusa di aver istigato con la semplice parola alla sovversione. Ma cos’altro dovrebbe fare uno scrittore se non istigare a pensare, a mettere in discussione l’opinione prevalente, a sovvertire la cultura mainstream?
Per i magistrati inquirenti - il processo cominciato il 28 gennaio è stato rinviato al 16 marzo, saranno sentiti i testi ammessi dal giudice, intanto sono stati depositate le motivazioni della Corte d’Assise che ha assolto Chiara, Claudio, Mattia e Nicolò dall'accusa di terrorismo, ndr - Erri De Luca si sarebbe macchiato di un atroce delitto. Avrebbe osato sostenere che la Tav va sabotata e che le cesoie servono a chi si oppone a questa pessima opera per tagliare le reti, il filo spinato, per impedire lo stupro di una valle. Ebbene, se questo è il reato contestato, allora mi autodenuncio. Io affermo che la Tav va sabotata e che le cesoie devono essere usate ad oltranza per impedire la realizzazione di un’opera inutile e dannosa.
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Foto tratta da notav.info
In un paese normale, dicevo, dinanzi a un sopruso così evidente, l’umanità pensante sarebbe scesa in piazza, avrebbe osato sfidare il potere in modo pacifico e non violento, certo, ma al contempo rigoroso, solido, aspro. Io credo fermamente nella convivialità fraterna, penso che sia necessario oltrepassare il dominio dell’uomo sull’uomo che sconquassa l’occidente, e ritengo che si debba uscire da questo orizzonte diabolico non con la violenza, ma con la pazienza della pace. Si badi, però, pacifismo non vuol dire coglioneria. Cristo, che suggeriva di perdonare settanta volte sette e invitava ad amare i propri nemici, decide un bel momento di prendere a frustate i mercanti e di cacciarli dal tempio. Perciò si è pacifici anche quando si mettono in atto pratiche radicali di resistenza. E far funzionare la testa, stimolare alla riflessione è una delle azioni rivoluzionarie più efficaci. Ma il potere non ci sta, reagisce senza misura quando davanti a sé ha la decorosa dignità del pensiero.
La questione è nota. Nel mese di settembre 2013, la LTF, ditta costruttrice della linea Tav Torino-Lione denuncia Erri De Luca «per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, pubblicamente istigato a commettere più delitti e contravvenzioni ai danni della società LTF». Capite? Uno scrittore con il suo pensiero istiga a commettere atroci delitti, tanto che deve andare necessariamente sotto processo. Ora, se il metro è questo, quale pena bisognerebbe attendersi per coloro che con disgustosa prepotenza pretendono di schiacciare senza requie le ragioni di un’intera vallata, che della Tav non vuole proprio saperne? Chiaramente nulla: perché questi, gli esecutori materiali dell’opera, stanno col potere, lo foraggiano e quindi sono ampiamente tutelati. Mi si dirà: ma l’azienda vincitrice dell’appalto ha le autorizzazioni per procedere. Ebbene, ma qui è in gioco il metodo politico. Chi gliele dà le autorizzazioni? I governanti di Roma? Ma a Roma possono decidere per Roma. È ora di finirla con la retorica dello Stato a cui ci si deve sacrificare. Le ragioni di Stato, gli interessi di Stato, le strategie nazionali che passano sopra la testa delle persone, straziando le carni e i desideri di chi diventa apolide a casa sua. Se la facessero a Montecitorio la Tav. Respirassero loro un po’ d’amianto per una decina d’anni. Invece no: decidono che a mille chilometri di distanza – contro il volere della popolazione – la LTF deve scavare un tunnel che collegherà l’Italia al resto d’Europa. E tutto ciò, chiaramente, è necessario per far crescere il Pil. Attorno a questo progetto vi sono interessi politici ed economici talmente grandi che chi sabota getta il cuore oltre l’ostacolo: come il combattente romantico che sa di avere davanti a sé una corazzata tremenda, ma non si dà comunque per vinto.
Che la corazzata sia solida e ben protetta è evidente. A dimostrazione di quanto dico è il fatto, assai singolare, della denuncia-querela inviata dalla LTF non come vorrebbe la prassi in procura, bensì direttamente ai pubblici ministeri Padalino e Rinaudo. La ditta si sceglie addirittura i magistrati ai quali assegnare il procedimento: vi pare poca cosa? E perché proprio Padalino e Rinaudo?
Ma veniamo al punto. In nome del potere si processa un intellettuale per aver osato sostenere che la Tav va sabotata, e sì facendo avrebbe istigato e spinto altri a danneggiare strumenti appartenenti alla LTF. Un magistrato con un minimo di sensibilità e di cultura avrebbe archiviato tutto. Perché non bisogna essere linguisti raffinati per sapere che il verbo sabotare non incita in alcun modo alla violenza, e chi sabota compie atti di omissione, non fa, più che fare. Sabotare deriva da saboter, che a sua volta rimanda a sabot, zoccoli. Il sabotare è allora l’atto di «disturbare con gli zoccoli». Il sabotaggio è un atto di disturbo, e gli atti di disturbo, come è noto, esprimono difesa più che violenza. Chi sabota agisce nell’immediato per un fine più grande; la sua è un’azione di disturbo il cui scopo tende a impedire, rallentare e deviare il flusso dispotico che opprime proprio chi sabota.
Ma nossignore, i pubblici ministeri si ergono a linguisti di prima specie e pretendono di indicare il senso corretto in cui va inteso il termine sabotaggio. Ne sanno di legge, di semiotica, di semantica, di linguistica: sono onniscienti. Tuttavia, se solo avessero saputo leggere un semplice vocabolario (non il codice di diritto penale) avrebbero archiviato quell’assurda denuncia.
Perché allora non l’hanno fatto? Semplice ignoranza dell’italiano? Vi lascio l’agio di rispondere ciò che ritenete più opportuno. Il potere s’è messo in testa che la Tav si deve fare, «ce lo chiede l’Europa». Pertanto chi ostacola i lavori fa fare una brutta figura all’Italia e per questo deve essere perseguito duramente. Ma, scusate, se il metro con cui si giudicano i No-Tav fosse davvero quello della «brutta figura internazionale» che i tapini farebbero fare al nostro glorioso Stato, allora non saprei proprio a quanti anni andrebbero condannati i rappresentanti delle istituzioni degli ultimi vent’anni, che quanto a brutte figure internazionali non ci hanno risparmiato nulla.
Ma il problema non è solo linguistico e non riguarda unicamente il termine «sabotaggio». Perché i magistrati accusano De Luca di aver istigato, con le sue parole, altri a commettere dei reati. Ora qui siamo davvero all’assurdo. Questi magistrati non conoscono l’italiano – e passi –, ma in modo ancor più sconveniente dimostrano di ignorare persino Hume: probabilmente non hanno mai aperto un libro di filosofia. Perché se lo avessero fatto saprebbero che le connessioni causali sono semplici atti di fede. Non è possibile dimostrare che da un’azione A ne consegua una B. Noi generalmente crediamo che da A segua B, ma non è affatto vero.
Erri De Luca, allora, dovrebbe essere condannato dopo uno stravolgimento del vocabolario e dopo il disconoscimento delle conquiste filosofiche almeno degli ultimi trecento anni. Per l’accusa è certo – oltre ogni ragionevole dubbio – che da un’affermazione di Tizio (nella fattispecie De Luca) segua necessariamente l’azione di Caio (il temutissimo No-Tav). È la vecchia storia del post hoc, ergo propter hoc. Ci sarebbe da ridere se non si dovesse piangere.
Mi rendo perfettamente conto che questo mio articolo è poca cosa. Ma se a questo articolo ne seguissero molti altri, se gli intellettuali (o sedicenti tali) italiani cominciassero a scrivere, denunciare le intimidazioni pelose del potere, forse qualcosa potrebbe lentamente cambiare (qui uno dei pochi appelli di solidarietà per Erri De Luca, tra i primi firmatari Wu Ming, Asca­nio Cele­stini, Fio­rella Man­noia, Ugo Mat­tei, Haidi Gag­gio Giu­liani, Alex Zano­telli, Luca Mer­calli, ndr).
Per parte mia posso solo concludere così: se l’opinione di De Luca è un reato, ebbene sono disposto a reiterarlo anch’io all’infinito. Credo sia doveroso come intellettuale libero, come italiano, come libertario affermare con Erri De Luca che la Tav va sabotata. La Tav va sabotata perché è nociva, va sabotata perché la popolazione locale non ha alcuna intenzione di farsi imporre da Roma un’opera impattante, violenta e mortifera. La Tav va sabotata perché in gioco c’è molto di più di una semplice linea ferroviaria. In gioco c’è la libertà d’espressione. Quella libertà che stanno tentando di toglierci surrettiziamente. Per questo motivo, io sto con Erri.
Sabotate, sabotate e sabotate ancora.
Sabotiamo all’infinito la Tav.
Sabotiamola, ognuno per ciò che gli compete.

* Filosofo e docente universitario, Alessandro Pertosa scrive irregolarmente di filosofia, economia, teologia, bioetica, decrescita. Il sul ultimo libro è "Dall'economia all'eutéleia"

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