In campo 700 milioni, quando potrebbero essere raccolti 43,8 miliardi di euro
Dissesto idrogeologico, la svolta a metà del governo Renzi
Le risorse necessarie già ci sarebbero, manca la volontà di coglierle
[21 novembre 2014]
In un incontro tenutosi ieri a Palazzo Chigi alla presenza di regioni e enti locali il governo ha finalmente presentato il primo stralcio da 700 milioni di euro del piano nazionale conto il dissesto idrogeologico. «Questa è una giornata che segna una svolta», esulta il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, ma è davvero così? L’azione contro il dissesto idrogeologico è la prima e la più importante delle “grandi opere” di cui avrebbe bisogno il territorio italiano, e necessità di azioni incisive sia sul lato normativo sia su quello degli investimenti. Alcune regioni (Toscana in primis) stanno portando a compimento disegni di legge che limitano il consumo di suolo, e l’attuale governo dovrebbe prendere ispirazione.
Sotto questo profilo è di buon auspicio, oltre all’incontro governativo, la conferenza stampa tenutasi sempre ieri alla Camera dei Deputati, e retta da Mario Catania per (ri)presentare la proposta di legge 948, proprio inerente il contenimento del consumo di suolo. La PdL galleggia nelle aule parlamentari da quando l’esponente di Scelta civica era ministro dell’Agricoltura, e sul testo sono piovuti a oggi 350 emendamenti: entro l’anno, annuncia il relatore Massimo Fiorio e rilancia l’Ispra, il testo dovrebbe giungere a una formulazione definitiva.
«Il problema del consumo del suolo – dichiarano dalla Lipu in conferenza stampa – è una faccenda che attraversa le nostre vite, droga l’economia, deforma la relazione che abbiamo con il territorio. Quella contro il consumo di suolo è la prima legge che il Governo Renzi avrebbe dovuto affrontare e approvare. Oggi facciamo invece i conti con lo Sblocca Italia, provvedimento che rischia di essere devastante per la natura italiana e di aggravare enormemente i problemi del territorio. Il segnale concreto e simbolico che giungerebbe con la legge proposta da Mario Catania e dai tanti parlamentari che la sostengono, a partire dal relatore, onorevole Fiorio, sarebbe di segno inverso, sotto il profilo sia materiale che di messaggio al Paese».
Quel che è certo, a oggi, è che l’esecutivo Renzi si propone di trovare in totale nove miliardi di euro (con la collaborazione dell’Europa) da stanziare nell’arco di 7 anni. È un buon inizio dopo anni di ignavia, ma la necessità di risorse stimata dallo stesso ministero dell’Ambiente è però ben diversa: si parla di 40 miliardi di euro per almeno 15 anni di lavori.
Si tratta di interventi prioritari, necessari per la salvaguardia di vite, case, fabbriche e infrastrutture. Intervenire a calamità avvenuta ha un prezzo ingentissimo, stimabile in circa lo 0,2% del Pil l’anno (più di quanto attualmente cresca la nostra economia, per dire). Non si tratta di opere e scelte facili da realizzare, alcune molto impopolari. Tra queste, come da ultimo hanno sottolineato i geologi nel Piemonte alluvionato, ci sono le rilocalizzazioni degli insediamenti a rischio frana, o che possono mettere in pericolo la tenuta sistemica del territorio dove poggiano.
In questo caso la non trascurabile domanda è: chi paga? Dovrebbe farlo lo Stato, all’interno di un programma di ripristino del territorio. Tutto l’abusivo dovrebbe invece essere buttato giù senza risarcimenti, mentre di quello illegalmente concessionato deve rispondere chi ha dato le concessioni. In modo analogo a quanto accaduto in Francia, ad esempio, quando dopo le devastazioni costiere causate dall’uragano Xinthia lo Stato non ha elargito nuove case, ma assicurato ai cittadini (con abitazioni regolarmente costruibili secondo gli strumenti urbanistici) un indennizzo – ai più bassi prezzi di mercato – per comprarsi o costruirsi una casa altrove. Decisioni di questo tipo non sono facili da digerire, ma le richiede il bene comune.
E per il resto? Il governo spera appunto di mettere sul piatto 9 miliardi di euro per le opere individuate come prioritarie, individuate nei Pai (Piani di assetto idrogeologico, alcuni da aggiornare) e in larga parte note dai tempi della commissione De Marchi, datata 1970. Solo che per finanziarle ai 9 miliardi di euro ne andrebbero aggiunti altri 31. Anche in questo caso la necessità di scegliere si fa pressante. In un momento di difficoltà economica così marcata le risorse necessarie ci sono comunque, secondo i Verdi – Green Italia. Conti alla mano, «cancellando le grandi opere inutili e spesso dannose che sono già state finanziate. All’Italia non servono l’Autostrada Orte Mestre (10 mld), la Tav Torino Lione (20 mld), Gronda Autostradale Genova (3,2 mld), l’Autostrada Livorno Civitavecchia, (2 mld), l’Autostrada Roma-Pontina (2,7 mld); Autostrada regionale cispadana (1,2 mld) Terzo valico, (3,1 mld); il nuovo tunnel Brennero (1,6 mld). In questo modo sarà possibile recuperare 43,8 miliardi di euro da destinare a interventi per far rialzare un paese che viene messo in ginocchio dalla pioggia e che affonda nel fango».
Certo, in alcuni casi oltre a liberare investimenti – per spostarli comunque, e non è poco, su opere ad alta intensità di lavoro – ci saranno da pagare delle penali (vedi il caso Tav, quando in ogni caso anche la Corte dei Conti francese e sempre più politici transalpini pensano che sarebbe necessario abbandonare il progetto), ma dopotutto dalla fine della II Guerra Mondiale il dissesto idrogeologico ci è già costato 250 miliardi di euro. In questo caso non dovrebbe essere difficile individuare la scelta più conveniente.
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